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In città: La comunità sociale, antidoto alla mafia

cec

da www.romasette.it

Presentato nella sede della Provincia il nuovo libro di monsignor Giancarlo Bregantini, scritto insieme alla giornalista Chiara Santomiero. L’invito del presule: costruire un’alternativa di Daniele Piccini

«Rafforzare la vigilanza e moltiplicare gli anticorpi». Sono i due antidoti che il vescovo Giancarlo Bregantini ha proposto per contrastare la mafia, presentando ieri sera (23 gennaio) presso la Sala Di Liegro della Provincia di Roma il libro “Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia” (Edizioni Piemme), scritto insieme alla giornalista Chiara Santomiero.

Nel corso dell’incontro, moderato dal giornalista di Avvenire Toni Mira, il presule ha descritto i tre stadi della “malattia” mafiosa. «Ad un primo livello – ha spiegato l’arcivescovo di Campobasso-Bojano – si vive a contatto con la mafia, subendola come fosse un destino inevitabile. Successivamente subentra la paura: i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino capirono che era un problema grave, che impediva il normale svolgimento della vita civile. Anche Papa Giovanni Paolo II ne comprese la gravità quando, il 9 maggio del 1993 ad Agrigento, incontrando i genitori del giudice Rosario Livatino, alzò il dito al cielo, come fa Fra’ Cristoforo nei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni per ricordare la giustizia divina a don Rodrigo, gridando “verrà un giorno”. All’ultimo stadio, si comprende che la mafia non è solo un problema del sud, dove ormai mancano spazi di investimento, ma è un cancro che morde anche il nord d’Italia. La mafia e la ‘ndrangheta si combattono facendole diventare problemi nazionali da risolvere sul territorio».

Recenti episodi di cronaca dicono di come la mafia “salga” come una cancrena dal sud, fino ad interessare anche centro e nord Italia. «La Provincia di Roma – ha spiegato l’assessore provinciale alle Politiche culturali Cecilia D’Elia – è attenta alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel nostro territorio, contrastandole soprattutto con la formazione all’interno delle scuole. Il nuovo libro di monsignor Bregantini, che trasmette una grande forza etica, dimostra infatti che la mafia si combatte costruendo un’alternativa, qualcos’altro di bello: solo così si può svuotare di senso la mentalità mafiosa. Ma per fare questo, come denuncia il volume, non bastano gli “eroi solitari”, piuttosto serve una comunità sociale ben motivata».

Nel volume di Bregantini-Santomiero la durezza degli argomenti convive con la semplicità dello stile. «Il nostro libro – ha spiegato la coautrice – nasce dall’insoddisfazione di monsignor Bregantini verso contributi già scritti sul tema. Attraverso la divisione in capitoli e la leggerezza della scrittura abbiamo voluto catturare l’esperienza diretta di monsignor Bregantini, arricchendola con altre storie ed altre esperienze. Il fine, come si è espresso don Tonino Palmese, il sacerdote attivo a Napoli contro l’usura, è quello di fornire “un’abbuffata di maestri”: offrire cioè esempi, testimonianze che incoraggino tutti a fare la propria parte ed esprimere in qualche modo gesti di rottura con la mentalità mafiosa».

Giovanni Moro, presidente della Fondazione per la Cittadinanza attiva, all’antidoto dell’antimafia sociale aggiunge un secondo rimedio, a suo avviso poco considerato dal volume. «Oltre alla capacità della comunità di sapersi organizzare e imparare ad esercitare i diritti della cittadinanza – ha spiegato– serve l’intervento delle istituzioni pubbliche, che possono affiancarsi ai cittadini oppure pensare, illusoriamente, di risolvere il problema con le sole proprie forze».

«Lo Stato – ha concluso monsignor Bregantini, rispondendo a Moro – è poco presente nel nostro libro perché abbiamo intenzionalmente voluto trattare solo i livelli precedenti, che però danno vita e forza all’azione istituzionale. Il primo livello è la fede, la spiritualità. Il secondo è l’etica, il terzo la cultura e la capacità progettuale. L’ultimo livello è l’economia. La politica e lo Stato sono ciò che mette insieme tutto questo, ma non possono operare se i livelli precedenti non sono ben fondati. La mafia è come una collina che crolla. Le forze dell’ordine rappresentano le barriere che contrastano la frana, ma se si vuole evitare che la collina venga giù, bisogna piantare nuovi alberi: costruire, formare».

24 gennaio 2012