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In ricordo di Mirella Gramaglia a 10 anni dalla sua scomparsa

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Mariella mi manca da dieci anni. Continuo a incontrarla nei ricordi, nei suoi scritti, nelle cose che ha fatto per la città di Roma, che ancora vivono.
La prima immagine che ho di lei è al convegno organizzato nel 1986 dalla sezione femminile del Pci dopo la catastrofe nucleare di Cernobyl “Scienza, potere, coscienza del limite”: parole per prendersi cura del mondo, per trasformare l’ansia di quei giorni in forza politica di cambiamento. “Diciamo – anche se con molta cautela – le donne si possono spendere per battere l’antropocentrismo orgoglioso degli ultimi secoli”. E Mariella ci consegnò la parola cura, nel suo duplice significato, da un lato di angoscia e ansia, dall’altro di pensiero attento e costante. Da un lato emozione, dall’altro lo sforzo di governare l’emozione.
Avevo 23 anni, era la risposta che stavo cercando.
Mai avrei immaginato che nel 2007, poco più di vent’anni dopo, quando Mariella sceglierà di andare in India a collaborare con Sewa, un importante sindacato autonomo di donne, avrei preso il suo posto di assessora di Roma Capitale nella giunta del Sindaco Walter Veltroni.
Il nostro incontro, quel passaggio di testimone furono una lezione per me su come si sta nelle istituzioni.
Nel 2011, a Siena durante l’assemblea nazionale di Se non ora quando, mi rimase scolpita nel cuore una sua affermazione: nessuna nasce nullatenente.
E così le chiesi di scrivere l’introduzione al mio libro Nina e i diritti delle donne, un immenso regalo che Mariella ci ha lasciato. Un testo che vale da solo, una lettera per le ragazze che finisce con l’invito a farsi sentire: “… mi raccomando. Intendo dire: fatti sentire dal mondo”
Nessuna nasce nullatenente grazie al femminismo, definito da lei come il momento in cui “i cuori delle donne hanno cominciato a cantare solo quando ne avevano voglia loro”.
Sei stata una delle persone che mi ha insegnato a farlo, grazie Mariella, quanto mi manchi.
Il mio ricordo in Aula al Senato

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