Aborto, le mani della destra sulla libertà delle donne (da l’Unità del 25 aprile 2024)
Con l’ennesimo voto di fiducia anche il Senato ha approvato il decreto PNRR, dove un emendamento (di un uomo) ha introdotto una norma che mina la libera scelta delle donne in tema di procreazione e aborto.
Il governo dispone infatti che le Regioni possano coinvolgere all’interno dei consultori le associazioni antiabortiste. Invece di garantire alle donne servizi, lavoro e stabilità economica il governo sceglie di attaccare la libertà di scelta e di indebolire, con l’introduzione di figure appartenenti ad associazioni senza competenze e professionalità specifiche, presidi fondamentali per la salute sessuale e riproduttiva come sono i consultori.
Siccome la legge 194 ha un grande consenso, la aggirano, la boicottano, la svuotano e ne rendono difficile l’applicazione. La fiducia ha impedito che si potesse emendare il testo o discutere ordini del giorno, che al Senato decadono automaticamente.
La forzatura operata dall’emendamento è la spia di una cultura politica, la stessa che fa dire alla vicedirettrice del Tg1 che l’aborto è un delitto. Il senso dell’emendamento è quello di colpevolizzare, stigmatizzare, dissuadere le donne che scelgono di interrompere una gravidanza.
Questo emendamento affida alle regioni la possibilità di introdurre associazioni, scavalcando il lavoro che fanno i consultori, i quali, tra l’altro possono già avvalersi, per i fini previsti dalla legge, di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Ma qui si sceglie altro. Lo chiamano sostegno alla maternità, in realtà è controllo sulle scelte delle donne, nella migliore tradizione patriarcale.
In campagna elettorale Giorgia Meloni aveva dovuto rassicurare l’opinione pubblica che non avrebbe toccato la legge 194; sono rassicurazioni che evaporano di fronte alla norma inserita nel decreto, ma anche alle scelte delle regioni governate dal centrodestra, dove l’aborto farmacologico in regime ambulatoriale non è consentito. Poteva essere diversamente?
Il Rapporto sul 2023 dell’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione che si batte per il diritto alla salute sessuale e riproduttiva ci dice che nei 30 anni che ci separano dalla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo, c’è stato un miglioramento nelle condizioni di accesso per le donne alla salute riproduttiva e sessuale, ma tuttora restano profondissime disparità territoriali e sociali.
Quasi metà delle donne non è ancora nella condizione di prendere decisioni autonome sul proprio corpo. E se migliorano le statistiche complessive sulle morti per parto e sull’accesso alla contraccezione, il 40% delle donne ha visto diminuire la propria capacità di autodeterminarsi.
L’autonomia e la libertà delle donne in materia riproduttiva è il campo di una contesa che vede le destre e gli integralismi sempre in agguato, mentre le disuguaglianze impediscono a tante di vedere riconosciuti i propri diritti.
In questo quadro l’aborto è al centro della restaurazione, come ha recentemente osservato la bioeticista Grazia Zuffa. Ne abbiamo avuto prova con la sentenza della Corte Suprema statunitense Dobbs v Jackson − che ha eliminato dalla Costituzione il diritto all’autodeterminazione riproduttiva demandando al potere legislativo dei singoli stati.
Si è visto chiaramente – ma in Europa ne avevamo avuto testimonianza in Polonia e in Ungheria – che la restaurazione dei “valori” familiari tradizionali è fondante del pensiero neoconservatore. Da qui la scelta della Francia, e poi del Parlamento europeo, di affermare il rilievo costituzionale del riconoscimento dell’autonomia e della libertà femminile nel campo riproduttivo.
È una sorta di “habeas corpus” delle donne: nessuno può costringerle a portare avanti una gravidanza non desiderata. Un principio che diventa fondante delle democrazie compiute. Non a caso la risoluzione del Parlamento europeo parla di diritto all’integrità della persona e all’autonomia del corpo: “ogni persona ha diritto all’accesso libero e informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, come pure a tutti i servizi di assistenza sanitaria correlati, senza discriminazioni, compreso l’accesso a un aborto sicuro e legale”.
Ma soprattutto non a caso la risoluzione vede i pericoli che questo principio corre anche in Italia, espressamente citata, esempio di Paese in cui l’assistenza all’aborto sta subendo erosioni, come nella Slovacchia e nella Romania, dove un’ampia maggioranza di medici si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile l’accesso de facto all’assistenza all’aborto in alcune regioni.
Stiamo parlando di una questione che è il cuore dell’oppressione patriarcale. Il controllo del corpo delle donne da parte di un potere altro da loro: storicamente ha preso le forme del controllo maritale, del controllo medico, di quello della legge.
E sono state le donne e il femminismo a dare rilevanza politica e pubblica alla realtà dell’aborto, che viveva nella clandestinità e nelle morti a questa legate. Nel femminismo il tema è legato alla riflessione su sessualità e maternità, all’affermazione della propria soggettività, fino ad allora sottoposta a controllo.
In questa alba della soggettività, che segna anche la fine della maternità come destino, l’affermazione della scelta di diventare madri, la sfida di relazioni paritarie tra i sessi, trova riconoscimento la differenza e l’autodeterminazione come principio fondante della libertà delle donne. Nulla a che fare con l’individualismo, ma l’esperienza concreta delle donne del mettere al mondo gli esseri umani che viene finalmente riconosciuta.
Per questo l’aborto è un nervo scoperto della cittadinanza femminile, ma c’è chi discute, pontifica, dibatte, senza tener conto dell’esperienza e del sapere che le donne hanno sull’aborto. In fondo il manel di Porta a Porta che tanto ha giustamente fatto arrabbiare noi tutte è solo la rappresentazione plastica di questa cultura dura a morire.
E se c’è stata critica del diritto d’aborto, c’è stata per dire che questa competenza femminile va oltre il diritto, la sua grammatica individualista, certamente non per porre freni alla scelta delle donne. In direzione dunque opposta e contraria a quella della ministra Roccella.
Il Parlamento europeo ha compiuto un passo importante che pone l’accento sul valore fondante dell’autonomia delle donne in tema di procreazione come diritto fondamentale, perché la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo sia riconosciuta ovunque. Non consentiremo che in Italia ci venga tolta.