Su un tema come quello della violenza maschile contro le donne il Parlamento ha più volte mostrato di saper lavorare in modo costruttivo, superando le differenze.
Grazie a questo abbiamo un impianto normativo che consentirebbe già oggi di intervenire in modo efficace, ma crediamo che si possa fare di più sul piano delle misure cautelari, del
riconoscimento che è violenza quando non c’è consenso, del cambiamento culturale da promuovere.
Per questo ci siamo già detti disponibili a discutere la proposta del governo sulle misure cautelari. Lo abbiamo fatto in una conferenza stampa con la segretaria Elly Schlein, in cui abbiamo illustrato la nostra proposta che interviene sulle stesse materie.
Ma non possiamo non dire, se vogliamo che sia un confronto serio, anche quello che manca. Che è mancato anche in occasione della approvazione del codice rosso e della legge cosiddetta Buongiorno al Senato: l’investimento economico che renda quelle norme credibili in termini di capacità del sistema di reagire nei tempi richiesti e di saperlo fare in modo efficace grazie ad un impegno serio e continuo nella formazione e degli operatori e delle operatrici.
Su questo noi abbiamo delle proposte, aspettiamo quelle del governo.
La formazione non è affatto una questione minore, dietro la sottovalutazione della violenza, che produce vittimizzazione secondaria per tante donne che si decidono a denunciare ma non vengono credute, c’è un problema culturale enorme, che purtroppo è emerso in alcune delle ultime sentenze che giustamente hanno fatto scalpore, come l’assoluzione a firenze di ragazzi ritenuti culturalmente incapaci di capire quello che stavano compiendo o le molestie troppo veloci per esserlo, avvenute in una scuola romana.
C’è una cultura che banalizza, mette continuamente in discussione la credibilità della parola femminile, fatica a convivere con la libertà delle donne.
Non si può superare solo con le leggi penali, ma investendo nella autonomia delle donne e nell’educazione al rispetto, nell’abbattimento degli stereotipi. Anche su questo abbiamo presentato proposte di legge.
La convenzione di Istanbul ci dice che abbiamo bisogno di politiche integrate per un fenomeno che è strutturale. Se vogliamo affrontarlo con questa consapevolezza, senza urlare all’emergenza ogni volta che purtroppo una donna viene abusata, ma rafforzando il Piano antiviolenza, la rete dei centri e delle case rifugio, i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, la formazione congiunta dei diversi attori che intervengono in questo campo, noi ci siamo.
Chi si è occupato di violenza sa e ci insegna che c’e un lavoro costante e quotidiano da fare, che non riguarda solo la produzione di norme, ma la promozione di politiche nei territori, reti integrate, con gli enti locali, le donne delle associazioni, le forze di polizia, gli operatori e gli attori sociali, di prevenzione e contrasto e di promozione di empowerment delle donne.