Una dura sconfitta. Ha vinto la destra, trascinata da Giorgia Meloni. Per la prima volta una donna ha un successo elettorale e può diventare Presidente del Consiglio. Una novità importante e ambivalente. Giudicheremo i fatti, ma sappiamo che avviene nel segno della destra e delle forze illiberali, quelle che nel mondo minano i diritti delle donne.
La cultura di governo non è neutra, non si tratta di dare patenti di bon ton, ma di contrastare segno politico, chiusura sovranista, opzione aperta nell’occidente dentro crisi che stiamo attraversando.
La destra estrema entra in campo, sull’onda del consenso popolare, ogni volta che c’è una crisi economica e sociale che porta con se una crisi democratica.
Un voto storico, che chiede una discussione vera sul cambiamento necessario del Partito democratico, sulla sua funzione e il suo destino.
Senza sciogliersi, ma lasciamo ad altri la boria, a chi ha dimezzato i voti, chi non ha raggiunto la fatica soglia delle due cifre ma si presenta come vincitore.
Probabilmente hanno trovato la loro strada, cosa vogliono essere e rappresentare. Per noi, come ha detto Zanda una sconfitta più politica che numerica, ed anche questo ci chiede di sciogliere nostri nodi senza affidarlo al dibattito sulle alleanze, tema che comunque rimane aperto per organizzare l’opposizione e le scadenze delle prossime regionali. Perché l’assenza del campo largo ci ha fatto perdere.
Siamo un partito che non ha mai vinto, ma quasi sempre governato.
Lo dobbiamo fare senza fermarci, perché c’è subito da organizzare l’opposizione nel Parlamento e nel Paese, ma dandoci i tempi e i modi per una discussione larga e aperta alla società, affrontando i nodi che ci bloccano, con grande umiltà e capacità di ascolto.
Non si può fare in astratto la discussione costituente o rifondativa, la rifondazione parte dalla realtà.
Quella realtà che, nonostante il programma, perché avevamo un buon programma, non siamo riusciti a mettere davvero in agenda, o non siamo stati credibili nel farlo: disuguaglianze, sistema di protezione sociale, crisi climatica e altra idea di sviluppo.
Nuovi equilibri nel mondo: oltre a dare i torti e le ragioni, lavoriamo per la pace? Possiamo subire questa discussione sull’atomica come se nulla fosse, dov’è l’Europa potenza gentile? Sono molto importanti le parole della relazione del segretario Enrico Letta sulla pace e il nostro impegno per la pace.
C’è stato in questi giorni un moto di popolo, a fianco delle donne iraniane, vogliamo Alessia Piperno libera, vogliamo un mondo a misura delle viaggiatrici solitarie, ma la politica deve fare di più contro regimi autoritari.
Ieri Walter Veltroni ci invitava a scendere in piazza contro la libertà assediata nel mondo. Sempre Veltroni nella sua intervista parla di secolo della paura.
Il congresso non può non essere sui cambiamenti epocali sotto i nostri occhi, e uno dei cambiamenti è la rivoluzione delle donne che ha portato trasformazioni nei rapporti sociali e di genere
Sappiamo fare un percorso politico a questa altezza? Già vedo un copione correntizio – volto più alla garanzia di rendite di posizione che all’arricchimento del dibattito politico interno – che si ripete, ognuno la sua parte già scritta.
Siamo stati tutti al governo senza aver vinto, appariamo alla fine tutti la protezione civile delle istituzioni democratiche (come aveva detto Letta nel suo primo discorso).
Credo dobbiamo mettere in questa discussione umiltà e autenticità. Annalisa Cuzzocrea dalle pagine de La Stampa ci invitava a comprendere, condividere le paura, pensare alle risposte.
Condividere le paure, appunto, c’è differenza tra voto per opzione politico culturale e voto perché la tua vita cambia a seconda di chi vince le elezioni. Per questo non condivido chi liquida come voto di scambio quello sul reddito minimo.
Bisogna farlo in rapporto stretto con la società, guardando ai tanti che si sono astenuti. Soprattutto tante. L’affluenza è stata del 63,95%, per le donne solo del 62,19%, minore è la partecipazione politica femminile dove maggiori sono le disuguaglianze (Barbara Kenny Donata Columbro su l’essenziale)
Anche qui, fino a questa riunione, nelle diverse interviste dei dirigenti uomini non ho visto consapevolezza della questione di genere.
Le donne vanno via dalla politica e dal pd, e non perché sono arretrate, ma perché non gli interessa, perché sono schiacciate dalla discussione correntizia, perché non vedono un nesso tra vita e politica, perché non hanno tempo nella propria vita, vale la pena fare altro, costruire mondo cumune altrove.
C’è un arretramento che riguarda l’intero parlamento, per la prima volta negli ultimi venti anni la percentuale di elette diminuisce, sono il 32,2 %, nel 2018 erano arrivate al 35,3%. Le percentuali più basse sono dei partiti di destra. Nel Pd sono il 32%, tra Camera e Senato.
Un passo indietro – nel 2018 erano il 33,9% – che penalizza fortemente il sud, tranne la Sicilia nessuna donna viene eletta alla Camera nel mezzogiorno, un risultato frutto della composizione delle liste, che nel meridione avevano una forte prevalenza di capolista uomini. Un risultato che vede fuori del Parlamento anche la Presidente del partito.
Nel primo parlamento dopo il taglio degli eletti, e ci eravamo dette il rischio che questo tagli avrebbe potuto avere per le donne, e dentro una sconfitta che ha portato alla non elezione anche di alcune capolista il passo indietro nei numeri è particolarmente drammatico nel significato politico, per una forza che ambisce ad essere promotrice di un cambiamento sociale nel segno della libertà delle donne.
Una perdita secca di credibilità, tema di cultura politica, come ha giustamente scritto Chiara Saraceno, una campagna elettorale che non ha valorizzato neanche le cose ottenute, da assegno per figli, agli investimenti nei servizi ma neanche le proposte, frutto di una cultura politica che ha messo al centro la cura del pianeta delle persone delle relazioni. Tema condivisione lavoro di cura e piano occupazione femminile.
Siamo state in questi due anni dalla sua ricostituzione protagoniste della discussione del Pnrr, dell’elaborazione di una piattaforma politico programmatica per l’occupazione femminile, la condivisione del lavoro di cura, la riforma del welfare, delle politiche di contrasto alla violenza di genere e della promozione della salute riproduttiva e sessuale. Sono proposte entrate nel programma, ma non valorizzate nella campagna elettorale, nella quale sono emerse solo in contrasto alla strumentalizzazione della violenza di genere fatta da Meloni e ai suoi attacchi alla legge 194.
Nonostante il nostro impegno a livello centrale e in diverse regioni, c’è stata nella composizione delle liste e nella conduzione della campagna elettorale un mancato coinvolgimento del luogo autonomo delle donne. E questo attiene alla costituzione materiale di quello che siamo, che va cambiata.
Chiediamo noi un congresso vero, una fase di discussione congressuale costituente. Vogliamo che sia aperta, per questo promuoveremo una grande assemblea nel sud d’Italia, con le donne meridionali.
Il congresso è già in quello che facciamo, nei prossimi giorni organizzeremo opposizione, chi la guiderà. Non solo nessun passo indietro, credo che dovremmo indicare donne nelle presidenze del parlamento e dei gruppi.
Sono passaggi istituzionali decisivi per la definizione del profilo dell’opposizione, l’elezione delle presidenze dei gruppi e di Camera e Senato.
Cambiamento e opposizione iniziano da queste scelte. Diamo il segno di aver capito.