Esordire come parlamentare in veste di grande elettrice del Presidente della Repubblica ha reso la mia prima settimana da deputata un’esperienza unica. E’ stato un battesimo solenne ed emozionante. Lentamente sto sedimentando i sette giorni che ho attraversato, imparando a conoscere i miei nuovi colleghi e le liturgie istituzionali, accompagnata da tanti amici e amiche democratiche, donne della Conferenza, parlamentari e delegate regionali, e dirigenti del Partito con cui condivido l’impegno nella segreteria nazionale.
Era difficile trovare un accordo in un Parlamento di minoranze, in cui inoltre i rapporti di forza tra le formazioni politiche non corrispondono più agli orientamenti nel Paese. Un Parlamento che, rispondendo positivamente all’invito del Presidente Mattarella, ha dato la sua fiducia a un governo d’eccezione, fuori dalle formule politiche, guidato da una figura autorevole e riconosciuta in Europa e non solo, nato per affrontare l’emergenza sanitaria e sociale del Covid, il processo di programmazione e attuazione del PNRR.
In queste condizioni una o un nuovo Presidente poteva emergere solo se largamente condiviso e capace di unire. Con circa il 15% dei grandi elettori il Pd ha coerentemente lavorato per questo, proponendo un metodo di condivisione con le altre forze politiche, scegliendo di non fare nomi per non farli diventare subito di parte, preservando la coalizione politica, senza sovrapporre mai il suo perimetro a quello della maggioranza. Errore e forzatura che il centrodestra ha invece cocciutamente voluto fare sin dall’inizio, fino al voto sulla Presidente Casellati.
In questo percorso ci sono sempre stati anche nomi di donne, nomi e cognomi. Donne che hanno gestito e guidato il processo, penso alle nostre Presidenti dei gruppi parlamentari Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, che hanno affiancato il segretario Enrico Letta, ma non sono state le uniche. Oppure donne come la Presidente Casellati che ha scelto di essere la candidata del centrodestra.
Nomi e cognomi di donne erano tra le possibili candidature, ma sono stati bruciati dal modo improvvido e strumentale con cui alcuni leader hanno pensato di poter incassare il risultato della novità di una Presidente. Usate dentro uno schema di muro contro muro le hanno bruciate, svuotando di senso la discontinuità che una donna Presidente della Repubblica può rappresentare nella vicenda politica italiana.
Noi democratiche e democratici siamo stati fuori da questa modalità. Avevamo e abbiamo tra le nostre fila figure di donne che potrebbero essere Presidenti, ma sapevamo di non avere i numeri e non è più tempo di usarle solo come bandiere. Abbiamo pensato a nomi femminili che allargassero il consenso, ma andavano posti nel percorso condiviso, per una soluzione che non avesse né vincitori né vinti.
Tutto il percorso: dagli appelli per “una donna presidente”, diventati card di parte per intestarsi il risultato salvifico della crisi politica – bruciato in poche ore dalla corsa dei leader uomini a mostrarsi vincitori – offre materia di riflessione. Innanzitutto sul fatto che una donna non vale l’altra.
Ho sempre pensato che si possano ottenere buoni risultati togliendosi l’elmo, facendo prevalere il bene comune e la forza delle cose. Tanto più in una situazione così difficile e di crisi. In questo passaggio, grazie alla lucidità di Enrico Letta e della nostra delegazione, abbiamo saputo agire così. Abbiamo anche ascoltato quello che l’Aula andava dicendo.
L’intesa sulla rielezione del Presidente Mattarella, che raccoglie un sentimento diffuso nel Paese e nella stessa Aula, è un successo per il Parlamento.
Nessuno nasconde la crisi della politica, ripartiamo però da questo esito come un punto di forza. Abbiamo fatto vincere il Paese.
Il Presidente Mattarella è garanzia di stabilità e di un equilibrato rapporto tra i poteri dello Stato in questo delicato momento di lotta alla pandemia e impegno per la ripresa economica.
A noi, alle forze politiche, alla Conferenza delle democratiche, lavorare per riconnettere la politica alla vita delle persone, mostrarne l’utilità. Ascoltare gli studenti che sono scesi in piazza in questa settimana, dopo la morte di Lorenzo Parelli, e sono stati malmenati. Intervenire sul caro bollette, fare la riforma per la non autosufficienza, il salario minimo, il congedo di paternità. Tutte proposte che stiamo discutendo nelle Agorà democratiche.
C’è molto da fare in Parlamento e nel Paese.