intervista a la Repubblica
di Giovanna Casadio
Roma. “Non è vero che il femminismo è contrario al ddl Zan. Alcune femministe sono critiche. E comunque il femminismo è ampio e plurale. Anche nella mia famiglia ci sono opinioni differenti, per dire. Per me è una legge da approvare al più presto. Ne abbiamo discusso tanto anche come democratiche”. Cecilia D’Elia, responsabile della Conferenza delle donne del Pd, parla della battaglia femminista a favore del ddl Zan, delle lunghe riunioni e della discussioni con sua madre Anna Maria Riviello, femminista storica, che ha firmato il manifesto delle dubbiose con Cristina Comencini e Francesca Izzo.
D’Elia, da femminista condivide perplessità e critiche sul ddl Zan?
“A me non piace la rappresentazione che è stata fatta, in base alla quale al femminismo non piace il ddl Zan. Il femminismo è ampio e plurale. Non piace ad alcune femministe e a molte altre sì. Lea Melandri con 250 femministe ha firmato un manifesto pro. E comunque non è una novità che nel femminismo ci siano opinioni diverse: successe sulla legge contro la violenza e addirittura con quella sull’aborto. Cito le associazioni che lavorano sui centri anti violenza (D.I.Re) e Differenza donna che hanno sempre sostenuto il ddl Zan. Il racconto dei media sulla contrarietà del femminismo è falso. Ripeto: le opinioni sono molto articolate”.
Anche nella sua famiglia ci sono divisioni tra donne?
“Sì. Mia madre Anna Maria Riviello, femminista storica, ha firmato il manifesto delle dubbiose che chiedono modifiche con Cristina Comencini, Francesca Izzo. Mentre mia figlia è schieratissima pro legge Zan. Molte giovani sono scese più volte in piazza per la legge contro l’omotransfobia. E non sono sfiorate da dubbi sulla definizione di” identità di genere”, su cui si è aperta la controversia”.
Lo scontro appunto c’è anche a sinistra, a colpi di appelli e documenti. Non ritiene si possano mettere nel conto alcune modifiche e riscritture?
“Ne faccio una valutazione politica. Sul testo del ddl Zan si è molto lavorato alla Camera, con emendamenti, mediazioni, dibattiti. Riaprire quel testo corre il rischio di mettere in discussione l’approvazione della legge contro l’omotransfobia, soprattutto alla luce dell’atteggiamento ostruzionistico che la destra, con la Lega in testa, ha avuto finora”.
Ma è la migliore legge possibile?
“Nessuna legge è la migliore possibile. Ma questo è un punto avanzato di inclusione che allarga il ventaglio delle tutele e dei diritti delle persone che sono discriminate e oggetto di discorsi d’odio. Aggiungo. Così come è scritta nel testo del ddl Zan, l’identità di genere non apre ad alcuna concezione fluida del genere, slegata dai corpi. Al di là della presenza o meno in altri testi di legge del riferimento alla identità di genere, che può essere documentata, come potrebbe esprimersi altrimenti lo scarto tra percezione di sé e corporeità che questo concetto esprime? Questo non muta le procedure per la transizione da uomo a donna e viceversa. Nessuno può svegliarsi una mattina e scegliere di che sesso è. C’è inoltre una cattiva e superficiale rappresentazione della realtà: i percorsi di transizione sono invasivi e dolorosi, nessuno/nessuna li intraprende a cuor leggero”.
Non teme che nel ddl Zan proprio le donne siano ricondotte a una minoranza, come sostengono anche sue colleghe del Pd che vorrebbero si cassasse la parola “sesso”?
“No. Nella legge si parla delle motivazioni sulla base delle quali si viene discriminati. Non si fa un elenco di minoranze”.
Non crede ci sia il rischio del Vietnam al Senato, come sostengono i renziani che stanno lavorando per una intesa con le destre?
“Il voto per calendarizzare il ddl Zan in aula ha dimostrato che una maggioranza c’è, con Italia Viva. Quindi si vada avanti. Stiamo parlando della vita delle persone che attendono da molti anni questa legge