4 novembre 2020
Oggi è l’Equal pay day, una giornata istituita dall’Unione europea per segnare il momento in cui ogni anno le donne iniziano simbolicamente a smettere di guadagnare se confrontate con i loro colleghi. Da questo momento fino a fine anno, anche se retribuite, in realtà lavoriamo gratis.
In Europa le donne guadagnano ancora il 16,2% in meno degli uomini. Nel nostro continente, stando ai dati dell’Eurostat, in media ogni euro guadagnato da un uomo corrisponde a 84 centesimi guadagnati da una donna. Ci vorranno 70 anni per colmare il gender pay gap.
L’Europa c’è, affronta la crisi prodotta dalla pandemia rafforzando la visione comune, perché si esce insieme dalle difficoltà che stiamo attraversando. Insieme vogliamo affrontare anche il divario retributivo.
Le cause sono molteplici; è un’intera organizzazione sociale che fatica a fare i conti con la libertà femminile: le donne lavorano più spesso a part-time, si trovano di fronte al soffitto di cristallo nello scalare i vertici aziendali, lavorano in settori meno retribuiti e spesso devono assumersi la responsabilità primaria della cura e dell’assistenza alle loro famiglie. Per affrontare questi fattori è necessario mettere in discussione il modo in cui è organizzata la separazione tra vita professionale e vita privata, promuovere la condivisione del lavoro di cura e investire nelle infrastrutture sociali. Bisogna contrastare stereotipi e discriminazioni di genere.
L’emergenza sanitaria e sociale che stiamo vivendo ha reso ancora più evidenti e insopportabili queste disuguaglianze. La nuova ondata di contagi, la necessità di nuove chiusure per salvaguardare la salute di tutte e tutti, potrebbero portare altre donne ad abbandonare il proprio lavoro. Per questo chiediamo che l’uguaglianza di genere sia obiettivo centrale nelle politiche di sostegno alla popolazione e nella programmazione delle risorse del Recovery Fund.
In Italia secondo l’Istat, lavorano il 54,5% delle madri tra 25 e 64 anni, mentre i padri sono l’83,5%, 30 punti in più. Un divario enorme, che riguarda anche i redditi.
Secondo il Rapporto dell’INPS sul costo della maternità per una donna, gli effetti della nascita di un figlio sono permanenti, duraturi, lasciano il segno, non si riassorbono nel lungo periodo.
L’incremento dei salari arriva a dimezzarsi rispetto alle donne senza figli. Ciò è dovuto in primo luogo a un minor numero di settimane lavorate e quindi retribuite (35,1%), poi al passaggio al part time (11,5%), e infine alla riduzione del salario settimanale (6%).
Su 100 posti di lavoro persi – e in Italia in tutto se ne sono persi 841mila – quelli femminili rappresentano il 55,9%. La maggiore contrazione di lavoro femminile si registra nell’occupazione a termine (-327 mila lavoratrici per un calo del 22,7%), nel lavoro autonomo (-5,1%.), nelle forme in part-time (-7,4%) e nel settore dei servizi, soprattutto ricettivi e ristorativi (qui le donne rappresentano il 50,6% del totale) e di assistenza domestica (sono l’88,1%).
Dobbiamo agire adesso. Come democratiche siamo impegnate alla Camera per far approvare una legge che estenda i controlli sulla parità salariale, prima firmataria Chiara Gribaudo. Anche in tante regioni le nostre elette hanno promosso proposte in tal senso.
E in questa direzione vanno le richieste che abbiamo fatto sull’uso del Recovery Fund. Investiamo nell’innovazione e nelle grandi infrastrutture sociali, nell’economia della cura e nella conoscenza, nella ricerca, nella scuola, nei servivi educativi per l’infanzia, nella condivisione del lavoro domestico e di cura. Sosteniamo l’imprenditoria femminile e la piena valorizzazione delle donne nel mercato del lavoro
Le donne sono in prima fila nella tenuta del Paese, ma rischiano di pagare il prezzo più alto della crisi. Non possiamo permettercelo. Il tempo del cambiamento è adesso, nell’emergenza. Guardando oltre.
Ne va del futuro dell’Italia.