Pubblicato su Femministerie
Dar conto del proprio femminismo. Da questo desiderio muove l’ultimo libro di Maria Luisa Boccia, Le parole e i corpi, una raccolta di saggi editi e inediti scritti in un arco di tempo quasi ventennale. Offrire dunque un affresco del proprio femminismo al nuovo movimento di questi anni e alla pluralità dei femminismi. Operazione che, nel precisare la propria pratica e la propria riflessione, apre alla relazione e all’interlocuzione con le altre: un’occasione per riflettere “sulle politiche comuni tra femministe differenti”.
E questa è già una pratica. Boccia cerca sempre di cogliere la domanda di senso che accomuna le diverse risposte e si rifiuta di leggere la pluralità dei femminismi come sistemi di pensiero compiuti, essendo essi piuttosto un modo diverso di nominare le cose, che inaugura il diventare soggetto delle donne. Quello che le preme sempre, mi verrebbe da dire, è il desiderio di libertà e autonomia che muove la soggettività, la molla che è all’origine della necessità di pensare differentemente, che rende indispensabile un pensiero altro. Il quale, dovendo corrispondere a quel desiderio, non può chiudersi nella risposta, ma tiene sempre aperta la domanda di senso e di autonomia, il continuo farsi di essa. Per le donne questo è stato possibile solo quando per cambiare la propria condizione esistenziale, hanno dato parola ai corpi. Quegli stessi corpi che fino ad allora avevano segnato il destino femminile di madri e mogli mutano di segno. Il che non significa che, in modo opposto a quando motivavano l’oppressione femminile, dicano la verità o indichino un contenuto. Per farsi soggetto libero le donne esperiscono i corpi come essenziali, soglia dell’esposizione al mondo della soggettività, esperienza concreta di esistenza. “Restituire un corpo sessuato al soggetto ha voluto dire assegnare un corpo a quel soggetto ed un soggetto a quel corpo, non già definire la verità oggettiva del corpo.” Viene in tal modo messa in discussione la concezione del soggetto moderno e la sua idea di libertà. Ma andiamo con ordine.
Il libro è diviso in tre parti: testi, contesti e corpo a corpo. Nella prima il confronto è con autrici e autori: si apre con l’eredità simbolica di Karl Marx e poi, passando attraverso Simone Weil, Hanna Arendt, Simone de Beauvoir, Carla Lonzi, Mario Tronti, Alain Touraine, si chiude con una riflessione sull’imperativo di Kant, “Osa sapere!”. La seconda parte raccoglie interventi sulla fase che viviamo: si apre ragionando sulle parole di papa Francesco sulla globalizzazione dell’indifferenza, seguono il confronto con il femminismo delle donne musulmane, quindi quello con le pratiche politiche e la forma partito, il moderatismo paritario del femminismo istituzionale e si chiude con la riflessione sulla cura del vivere. La terza parte si focalizza sulla questione del corpo: si apre con l’immagine della Creatura di sabbia di Ben Jalloun, passando per i corpi nello scenario tecnologico, il rapporto con la legge, le questioni legate alle tecnologie riproduttive e l’eclissi della madre, a cui Maria Luisa Boccia con Grazia Zuffa ha dedicato un libro nel 1998, chiudendosi con un intervento sulla questione complessa della gestazione per altri.
Come può capirsi da questo resoconto è un libro vasto per pluralità di temi, che ognuna/o può leggere privilegiando sguardi e questioni. Ma tutti sono attraversati dall’attenzione all’agire libero del soggetto, che si dà nel mondo, nello spazio pubblico in cui si incontrano gli altri. La messa in discussione dell’autorità che ha inaugurato l’emancipazione moderna, espressa nell’imperativo “osa pensare!” di Kant, ha aperto anche per le donne la strada della cittadinanza, ma non quella dell’autonomia. Questa arriva solo con il femminismo della differenza sessuale, che compie atto di incredulità verso il sapere consolidato, alla ricerca di una corrispondenza tra l’esperienza delle donne e il pensiero. La libertà, per Maria Luisa Boccia è essenzialmente questo: “libero è chi diviene autore/autrice, e non solo agente, del suo fare e pensare.” Per esserlo le donne hanno dovuto andare a fondo del loro essere donna, non rimuoverlo, hanno dovuto decostruire il senso che il patriarcato ha dato all’essere donna e ridiventare donne come soggetti autonomi. E per questa decostruzione e non rimozione dell’esser donna grande è il debito con Simone de Beauvoir che “sigilla il congedo dal destino del secondo sesso ed inaugura il percorso della libertà del divenire donna”. Ma diversamente da lei il femminismo della differenza, e qui in particolare per Maria Luisa Boccia il riferimento è a Carla Lonzi, non mette in questione solo che alle donne sia stata affidata l’immanenza della vita, il corpo, gli affetti, e agli uomini la trascendenza, ma la valenza universale della trascendenza maschile. In modo temerario, perché si tratta di mettere in discussione una civiltà secolare, le femministe della seconda ondata, attraverso la relazione tra loro e l’autocoscienza hanno rivoluzionato la propria vita e il pensiero. Questa rottura non è inedita. Anche per Marx, come per il femminismo, Boccia parla di rivoluzione simbolica, privilegiando nel suo pensiero non tanto il contenuto del discorso, la rivoluzione, quanto il nuovo significante “lotta di classe”. “La lezione di Marx, per me tuttora operante, è stata … pensare l’impensato, aprire all’imprevisto”. E non a caso il suo pensiero della differenza sessuale si confronta con la differenza operaia di Mario Tronti, con la soggettività che si fa nella contingenza, nel conflitto e, ritorna il tema, si oppone alla continuità delle cose. Anche la parola femminile irrompe, “è la contingenza imprevista che spezza la continuità della storia”. In questa pratica di fare e disfare, di agire in prima persona c’è la passione profonda di Boccia per l’autonomia e la libertà di ciascuna/o, che unisce oltre le differenze tra i femminismi, perché mette al primo posto la situazione esistenziale delle donne, prima e oltre la loro condizione sociale.
Il femminismo, per dare esistenza libera alle donne, ha dovuto però osare più di altri, mettere in questione il progetto di emancipazione della modernità e ha prodotto una vera e propria rivoluzione antropologica. Non si è trattato semplicemente dell’epifania di un nuovo soggetto, ma, come abbiamo detto, della nascita di un nuovo modo di costituirsi della soggettività, di farsi della libertà e dell’autonomia. Questa soggettività incarnata oggi confligge con il” discorso biopolitico che tende ad assoggettarla”. L’orizzonte neoliberale ha eroso spazio pubblico e ridotto la questione della libertà a una contesa tra diritti. Il conflitto più aspro, a cui non a caso è dedicata la parte finale del libro, avviene ancora sulla riproduzione, sul suo controllo, che è controllo del corpo femminile. Senza ripercorre qui la lettura che Boccia fa di questo conflitto ancora una volta va sottolineato come l’assillo della sua ricerca sia la soggettività e il rifiuto di ogni tentativo di metterla in ombra. Con questa bussola attraversa anche il tema della gestazione per altri, illuminando la relazione tra donne diversamente coinvolte nella procreazione e facendo i conti con i mutamenti avvenuti nella scena procreativa.
Ancora una volta si tratta di pensare l’impensato, ricordandoci che “l’opera di creazione di sé mette … in questione qualsiasi tipo di determinismo. Dal destino biologico all’identità di genere, all’essenzialismo della differenza sessuale, al neutro-universale”.
(Maria Luisa Boccia, Le parole e i corpi. Scritti femministi, Ediesse, Roma, 2018, pp. 280)