Pubblicato su Femministerie
Ci sono alfabeti ancora da scoprire
conficcati negli interstizi della carne
nel rantolo di bocche chiuse
nel lampo di occhi spenti
nel sussulto di arti sedati.
L’uomo procede eretto ma ha i piedi fermi
sulla sua mai tramontata preistoria.
6/2/2016 (Milano)
Si chiude con pagine di diario in versi il libro di Lea Melandri Alfabeto d’origine (Neri Pozza, 2017). Una raccolta di saggi che vanno dal 1983 ad oggi, il cui tratto comune è la riflessione sulla scrittura d’esperienza. Non è memoria, non è finzione, non è ricerca del vero storico, piuttosto è ascolto del mondo interiore, una “mineralogia del pensiero”, per usare parole care a Melandri, a lei suggerite da L’ultimo paradosso di Alberto Asor Rosa.
Il testo divide gli scritti in tre parti. Comincia dalla lingua ritrovata, dove si affacciano percorsi autobiografici. Attraversa le corrispondenze amorose, il rapporto con scrittrici e scrittori le cui parole hanno saputo parlarle. Arriva alla scrittura d’esperienza, alla ricerca su come dare lingua all’innominabile della vita.
Percorso soggettivo e politico. All’origine, anche nel racconto che Lea Melandri ci propone nella prefazione, vi è il trauma della prima prova scritta d’italiano in quarta ginnasio, quel liceo-privilegio per lei, figlia femmina di una famiglia di mezzadri romagnoli. Un compito sul mese di novembre in cui invece di esercitarsi letterariamente, così come si conveniva all’epoca, la giovane studentessa portò nella pagina l’esperienza faticosa del novembre dei campi. E così il voto basso e il giudizio lapidario”scrittura ottima ma fuori tema”.
Tornerà a scuola dopo mesi, quando l’insegnante si ammalerà.
Ma il fuori tema diventerà il centro della sua ricerca, scoprendo, una volta arrivata in città, grazie al 1968 e al movimento non autoritario nella scuola e al femminismo che si poteva “dar corso ai pensieri più aderenti al sentire di ognuno”. Attraversando ogni scissione, tra lingua “che scende dalla cattedra” e quella “che sale dai piedi “, tra storia e natura, pensiero e corpo, maschile e femminile. Per scavare la sotteranea seconda vita di cui parla Sibilla Aleramo, allontanandosi dalla rappresentazione maschile del mondo che abbiamo incorporato. E’ così prende vita una scrittura che parte dai sommovimenti interni, che decostruisce i linguaggi già dati, che ha bisogno della dispersione del senso per tornare all’origine. Scrittura che risponde al desiderio di conoscenza di sé. Il fuori tema è diventato il tema, senza illusioni di facili ricomposizioni, di portare alla luce un femminile sepolto o di scoprire una lingua autentica. Si va con la parola come in un viaggio senza itinerario già scritto. E non potrebbe essere diversamente per un ‘identità femminile che voglia costruirsi un percorso proprio.