Intervento al Convegno che si è tenuto alla casa internazionale delle donne il 1° giugno 2014.
Il 2 giugno del 1946 le donne italiane votarono per eleggere, dopo il disastro della guerra e del fascismo, l’assemblea che avrebbe dato all’Italia la nuova Costituzione. Come ci racconta Miriam Mafai: “votarono con preoccupazione, con orgoglio, con speranza, con emozione” Lei, troppo giovane per votare era andata in piazza Montecitorio a salutare le prime donne che entravano da deputate nel palazzo. “vivemmo insieme quel giorno come un nostro grande successo, non solo delle donne che nell’Italia liberata avevano potuto partecipare agli incontri, alle petizioni alle manifestazioni per il diritto di voto ma anche di quelle che nell’Italia occupata dai fascisti e dai tedeschi per anni si erano battute anche per il riconoscimento di questo diritto”
Eppure, sostiene sempre Mafai, il movimento delle donne del dopoguerra nacque per certi versi orfano. Venti anni di fascismo e le riserve di gran parte del movimento operaio verso il movimento per il suffragio femminile avevano cancellato la memoria delle “suffragette”. Dunque se si dovesse ricercare una radice della storia della libertà femminile nell’Italia repubblicana, senza nascondere i salti e le discontinuità di cui ogni storia è fatta, sicuramente dovremmo rivolgerci alle ragazze che nel 1943, pur avendo ereditato un ruolo codificato da secoli ed essendo cresciute in un regime che aveva escluso le donne dalla sfera pubblica, scelsero l’impegno e la Resistenza. Una scelta che cambiava la vita, metteva in gioco libertà e speranze. Senza quelle ragazze e le tante donne che silenziosamente aiutarono la lotta di liberazione anche il riconoscimento del diritto di voto alle donne sarebbe stato più difficile. Il decreto legge che estendeva il voto alle donne (1° febbraio 1945) significativamente dimenticò l’elettorato passivo, che fu concesso in un secondo decreto del marzo 1946, a ridosso delle amministrative. Ventuno donne furono elette nella Costituente, duemila nei consigli comunali.
Eccole le Madri della Repubblica, tutte, quelle che si diedero appuntamento a piazza Montecitorio per salutare le loro elette e quelle che varcarono la soglia dei palazzi istituzionali. Quelle che parteciparono alla Costituente e quelle che avevano guidato la bicicletta sulle strade dell’insurrezione antifascista. Un popolo femminile. Sappiamo che anche per riconoscere il loro contributo c’è voluto lavoro di scavo, indagine storica di altre donne, abbiamo dovuto aspettare uno sguardo nuovo, alla ricerca della propria genealogia. Sorge così il bisogno di esprimere gratitudine nei confronti di quelle donne resistenti. E’ un bisogno politico, allude al riconoscimento di una storia che è parte fondante della storia del Paese. Ancora oggi navigando in rete puoi trovare documenti ormai datati che ti parlano del relativo contributo dato dalle donne alla Resistenza. Circa 35000 furono insignite del titolo di partigiane combattenti, oltre 4500 vennero arrestate e condannate, più di 600 fucilate o cadute in combattimento, 19 le Medaglie d’Oro al valor militare. Se è evidente il valore dello sciopero delle fabbriche torinesi nell’Italia settentrionale occupata, si ricorda meno l’otto marzo del 1943, quando sempre a Torino, a piazza Castello centinaia di donne manifestarono contro la guerra. Nel novembre a Milano nascono i Gruppi di difesa della donna, secondo Marisa ombra ancora oggi un buco nero della storiografia sulla Resistenza.
Eccola la radice delle nostra libertà. La Costituzione italiana non sarebbe quella che è senza la traccia di questa alba della cittadinanza femminile. Basti pensare all’articolo 3 sul’uguaglianza, all’articolo 29 dove grazie alle donne non c’è indissolubilità del matrimonio e c’è eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, all’articolo 37 sulla parità nel lavoro, per citarne solo alcuni. Certo bisognerà aspettare leggi che invereranno Costituzione, ma le 21 donne costituenti rappresentarono il cambiamento avvenuto e ci consegnarono una Carta che conteneva il loro e il nostro futuro. Ci consegnarono un senso della politica nobile, che a che fare con lo sviluppo della persona umana. Dove la politica ha fallito va rinnovata, cambiata, ma se la politica diventa il nemico la democrazia perisce e la speranza di quelle ragazze del 43 muore. Io queste madri della Repubblica le terrei con me anche per attraversare la crisi della rappresentanza che stiamo vivendo, per non tradire quel sogno di libertà, che faceva dire ad Anna Banti “quanto al 46 quel che d’importante per me ci ho visto e ho sentito, dove mai ravvisarlo se non in quel 2 giugno che, nella cabina di votazione avevo il cuore in gola e avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia? Forse solo le donne possono capirmi e gli analfabeti. Era un giorno bellissimo…Quando i presentimenti neri mi opprimono penso a quel giorno, e spero” .
Cecilia D’Elia