Come ha sottolineato Stefano Rodotà tenendo a battesimo la nascita della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, non è scontato che una pratica sociale trovi un approdo istituzionale. Nel caso dell’occupazione del teatro Valle e della formulazione dello statuto della fondazione non solo nulla è scontato, ma nulla è già visto. L’approdo istituzionale è infatti a sua volta un inedito sia per il contenuto che per il percorso partecipato che l’ha prodotto. Si è lavorato collettivamente intorno alla nozione di bene comune ricercando nuove forme istituzionali, adeguate all’idea partecipata del bene cultura. Basterebbe questo a rendere straordinariamente interessante per la politica e le istituzioni il laboratorio Valle.
Ricordiamoci che l’occupazione nasce il giorno dopo la vittoria del referendum sull’acqua, sull’onda di una consultazione popolare che aveva chiaramente chiesto un cambio di paradigma rispetto alle politiche di privatizzazione dei beni primari. E avviene in un panorama culturale aggredito dai tagli del governo della destra che aveva deciso di privare l’Italia del suo ente teatrale, l’Eti, senza nessuna discussione, nessuna ipotesi di riforma, nessuna proposta alternativa.
L’occupazione nasce dunque da una preoccupazione sul destino di questo straordinario teatro in un paese che ha visto all’opera ministri chiaramente nemici della cultura, un paese segnato da politiche che hanno logorato, eroso e quindi privatizzato la dimensione pubblica delle città e dell’arte, prima ancora che le singole strutture e istituzioni.
Oggi c’è una fondazione, con 5600 soci fondatori che hanno assicurato 143.000 euro, altri 107.000 vengono da opere cedute gratuitamente da decine di artisti. Il Prefetto dovrà valutare lo Statuto.
E’ difficile pensare che il futuro del teatro Valle possa prescindere dall’esistenza di questo soggetto. Al contrario la nascita della Fondazione può essere l’occasione per avviare un percorso istituzionale creativo e condiviso, con Comune di Roma e Ministero dei beni culturali.