La verità è che viviamo in un paese in cui è in atto una vera e propria guerra contro i corpi e la vita della donne. Nel 2011 sono state 97 le donne uccise dai partner, mariti, compagni, congiunti e nei primi 15 giorni del 2012 eravamo già arrivate a contarne 12. La verità è che il discorso pubblico sembra indifferente a quella che si mostra come una vera e propria emergenza, anche se il termine non mi piace e rischia di offuscare le radici antiche e il carattere quotidiano della violenza contro le donne. La verità è che servirebbero, soprattutto da parte maschile, gesti e parole di responsabilità e di cambiamento. La violenza contro le donne e’ un reato sempre maschile frutto di una sessualità predatoria e di una cultura della sopraffazione che non sa fare i conti con i sentimenti e con il rispetto dell’ altro. La verità è che in questo paese la rappresentazione delle donne urla vendetta, la mercificazione del nostro corpo è pane quotidiano. E questo c’entra con la continua violazione dell’inviolabilità del nostro corpo. La verità è che in questo paese ci sono voluti anni e anni per riconoscere che la violenza è un reato contro la persona e non contro la morale e per cambiare la cultura patriarcale e complice dei tribunali, dei pronto soccorso e dei commissariati. La verità è che ogni tanto le sentenze della cassazione ci hanno fatto veramente arrabbiare, come quando nel 1999 dichiarò insussistente lo stupro per via del fatto che la vittima indossava i jeans. La verità è che la violenza contro le donne si consuma soprattutto tra le mura domestiche e resta in gran parte sommersa. Per sconfiggerla alla radice abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale che coinvolga indistintamente tutti, donne e uomini, istituzioni, media, mondo della scuola. Tutto questo c’entra con il modo in cui si è parlato della sentenza della corte di Cassazione. Troppa confusione, troppi fraintendimenti e troppa cattiva informazione hanno scatenato la comprensibile reazione di tante donne. Ho letto di carcere negato agli stupratori, di possibili pene alternative, ma la pena si commina a chi è stato giudicato e la sentenza parla invece di custodia e di misure cautelari, misure che interessano gli indagati, per cui dovrebbe valere sempre la presunzione d’innocenza. Proviamo a capirci qualcosa: nel 2009 il governo Berlusconi, in seguito al clamore provocato dal rilascio in attesa del giudizio di alcuni imputati di stupro inserì l’obbligatorietà della carcerazione in caso di misure cautelari. Ed è di questo che si è occupata la Cassazione, è intervenuta in tema di applicazione di misure cautelari durante il procedimento e prima della condanna, tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale n.265/2010 che ha dichiarato incostituzionali quelle disposizioni introdotte dal governo Berlusconi. Anche allora si disse che i giudici avevano fatto una legge a favore degli stupratori. Ma in realtà la Corte costituzionale si limitava a rimettere il reato di stupro sullo stesso livello degli altri reati, restituendo ai magistrati la libertà di scelta e di valutazione su ogni singolo caso. La Corte aveva adottato quella sentenza in riferimento al caso di un singolo individuo accusato di stupro, la Cassazione è intervenuta invece in un caso in cui si parla di stupro di gruppo. L’oggetto però non è il tipo di reato, ma le misure cautelari. In sostanza vengono messe in discussioni disposizioni che ad alcune sono sempre sembrate demagogiche e strumentali, oltre che illiberali. Come ancora ieri mi ha ripetuto Maria Teresa Manente, un’amica avvocata che collabora con i centri antiviolenza la violenza sessuale non è una questione di allarme sociale o sicurezza da affrontare con leggi speciali che violano lo stato di diritto. Considerare la violenza sessuale un reato diverso dagli altri reati gravi contro la persona significa avvalorare la legittimità di un diritto penale speciale, tipico dei regimi autoritari. Alle donne vittime di violenza sessuale o di qualsiasi altra violenza maschile interessa un immediato ed efficace intervento giudiziario sin dal momento della querela, l’applicazione di una misura cautelare adeguata al caso concreto, un processo che accerti la responsabilità e commini la giusta pena in tempi brevi.
Cecilia D’Elia