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Presentazione del libro di Giancarlo Bregantini

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Lunedì 23 gennaio, ore 19.00
Provincia di Roma – Palazzo Valentini – Sala Luigi Di Liegro
Via IV Novembre, 119/A – Roma

Invito alla presentazione del libro di Giancarlo Bregantini

Insieme agli Autori intervengono:
Giovanni Moro
Presidente Fondazione per la Cittadinanza Attiva
Toni Mira
Giornalista
Introduce
Cecilia D’Elia
Assessore Politiche Culturali Provincia di Roma

Giancarlo Bregantini
con Chiara Santomiero
NON POSSIAMO TACERE
Le parole e la bellezza per vincere la mafia

«Un libro per constatare che cambiare si può»
GIAN CARLO CASELLI

«Se il bene avanza la mafia arretra»
Monsignor Giancarlo Bregantini

Il vescovo Giancarlo Bregantini lotta e combatte la mafia e le sue derive da una vita intera. E dal di dentro. Questo libro è il racconto-testimonianza di un uomo del Nord, che anni fa decise di essere religioso, poi prete operaio, poi cappellano delle carceri e infine vescovo al Sud. La stampa nazionale e internazionale lo ha definito il vescovo anti-ndrangheta ed è diventato un simbolo della lotta alla mafia nella chiesa e nel mondo laico.

Questo libro è il racconto-testimonianza dei giorni in cui, diventato vescovo della diocesi di Locri-Gerace, fu accolto da una finta bomba sotto il palco in “segno di benvenuto”, e alle forze dell’ordine che gl’intimavano di accettare la scorta oppose un secco rifiuto; vescovo della gente fra la gente, con alcuni fedeli della diocesi si recò a Duisburg, dopo la strage del Ferragosto 2007, per sostenere la comunità immigrata calabrese in Germania; fu fra i promotori del movimento “AMMAZZATECI TUTTI” dopo l’omicidio del politico Francesco Fortugno; dal pulpito comminò coraggiosamente la scomunica contro le cosche che avevano avvelenato l’acqua delle falde che irrigavano le serre di diverse migliaia di piantine di lamponi appartenenti a una delle cooperative più attive della Locride.

Nel racconto si alternano storie drammatiche – che documentano l’ambiguità di un potere criminale che s’insinua nell’atteggiamento di chi paga al bar, nell’ostentazione della ricchezza, nelle faide quasi sempre decise dalle donne, nel rischio di connivenza fra chiesa e clan mafiosi – a tante storie positive di cooperazione, di collaborazione con le associazioni anti-racket, con realtà culturali ed educative come Libera e con molte persone coraggiose che gettano semi di civiltà, facendo spesso le veci di uno Stato che latita o non c’è più.

Scrive mons. Bregantini: «Dobbiamo credere che se il bene avanza la mafia arretra. Dobbiamo vivere i valori del bello. Dobbiamo seminare parole capaci di estirpare l’omertà, la menzogna e la paura, per far attecchire un modo diverso di guardare le cose, anche per chi è cresciuto nella cultura mafiosa senza conoscerne un’altra. Descrivere, come fanno molti recenti film e libri, la negatività della mafia, i rituali perversi, i giochi di potere, la violenza e la spietatezza è solo il punto di partenza per fronteggiarla. Occorre fare un passo ulteriore. Quel passo è credere nella forza del bene e seminarlo».

* * *

«Il film Cento giorni a Palermo racconta la vicenda del generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo che affrontò e sconfisse il terrorismo delle Brigate Rosse, ucciso dalla mafia nel capoluogo siciliano insieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro. È una pellicola di forte drammaticità, che non si limita a raccontare una storia, ma interroga fortemente le coscienze.
Guardarla in carcere, come mi è capitato di fare a Crotone, tra i detenuti per associazione mafiosa, significa sperimentare un’ottica rovesciata.
Laddove ci sarebbe stato il silenzio trattenuto da parte di spettatori “normali” davanti alla scena, carica di tensione, dell’agguato e della morte del generale, in carcere riecheggiavano invece applausi e fischi di approvazione per gli assassini, come davanti a una vicenda in cui si fossero invertiti i ruoli dei buoni e dei cattivi.
Capivo che quei volti, illuminati a tratti dalle luci di proiezione, avevano visto davvero quel tipo di scene, o meglio, le avevano vissute da protagonisti.
Ho capito in quel momento, con evidenza netta, che pur visionando lo stesso film, fra me e loro, fra la gente perbene e la mafia, c’erano due modi opposti di guardare le stesse cose.
Quell’esperienza illuminante mi ha fatto pensare che l’antimafia deve cominciare proprio da qui, dalla consapevolezza di avere di fronte una “cultura altra”, “alternativa” nel senso più estremo del termine.»
Giancarlo Bregantini

Giancarlo Bregantini

Monsignor Giancarlo Bregantini è considerato uno dei simboli della lotta alla ‘ndrangheta nel mondo ecclesiale e laico. È stato vescovo di Locri-Gerace dal 1994 al 2007, anno in cui è stato nominato arcivescovo di Campobasso-Boiano.
Il 1° luglio 1978 viene ordinato sacerdote nella Cattedrale di Crotone. Uomo del Nord sceglie di essere prete al Sud. Dopo varie esperienze, fra cui quella intensissima di prete carcerario, fra i mafiosi del penitenziario di Crotone, si dedica – da vescovo – a una instancabile opera di sensibilizzazione contro la mafia e la cultura mafiosa.