E’ un momento drammatico per la cultura italiana. Nella stessa giornata abbiamo appreso che Cinecittà Luce rischia di chiudere e che il Sovrintendente dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia Bruno Cagli, davanti all’ennesimo annuncio di tagli, minaccia di lasciare. Altri 27 milioni vengono infatti negati, si aggiungono così alla già insopportabile politica di depauperamento delle risorse pubbliche destinaste alla cultura. Non è l’ennesima scure che si abbatte sui teatri, sul cinema, sulle istituzioni musicali, sulle giovani generazioni di artisti e sui tantissimi lavoratori del settore. E’ l’ultimo attacco di una guerra a un vasto mondo detestato da questa destra che ci governa. Un attacco alla cultura come bene comune e all’area metropolitana romana, territorio a forte vocazione culturale. Ricordiamo che al Lazio va il 24,8% del Fondo unico per lo spettacolo. Il primo marzo avrebbe dovuto riunirsi la Consulta per i problemi dello spettacolo del Ministero per i bene e le attività culturali, per decidere il riparto dei 258 milioni del Fus, ma la cifra è talmente insufficiente che abbiamo deciso di far mancare il numero legale, dunque di bloccare l’utilizzo di quel poco che c’è, per chiedere al governo un gesto di responsabilità. E’ stata una scelta estrema, fatta insieme da rappresentanti degli operatori, dei produttori, dei sindacati, degli enti locali. La risposta è stata nulla, anzi arrivano altre terribili notizie e assistiamo alla pantomima di un Ministro della Cultura che se ne lava le mani, di un sottosegretario che implora il suo stesso Governo di non fare quello che sta facendo. Ecco lo spettacolo che andrebbe tagliato; quello di un governo irresponsabile, prigioniero di Tremonti. L’ulteriore stralcio di risorse è giustificato per il mancato espletamento dell’asta delle frequenze digitali. Ma si può tenere in questa considerazione la cultura in Italia? Può essere trattata così la nostra migliore risorsa, la più forte fonte di sviluppo, il più vasto investimento per le generazioni che cercano lavoro, autonomia, futuro? Invece dei tagli andrebbero fatte riforme strutturali, aperte nuove strade, riformato lo stesso Fus, aumentati gli investimenti in questo settore, che in Italia raggiungono la ridicola cifra dello 0,2 del Pil. Invece si strozza il Fondo unico per lo spettacolo, che al momento è l’unico sostegno pubblico a teatro cinema, danza, lirica. Possiamo discutere sui criteri di attribuzione e assegnazione ma non può e non deve spegnersi. Per il 2011 è stato ridotto del 40% rispetto al già punito stanziamento dell’anno precedente. Si trattava di 258 milioni di euro, ma oggi sappiamo che non è ancora la fine, altri 27 milioni sono stati “congelati” e forse è il caso di aspettarci altre sorprese. A tutto questo, non dimentichiamo, si aggiungono la già approvata tassa sul biglietto del cinema a carico degli spettatori, la mancata, seppur tanto invocata dal settore, proroga triennale delle incentivazioni fiscali della tax credit e della tax shelter; la mancata attuazione di adeguati strumenti di protezione sociale per il settore dello spettacolo, l’arrogante indifferenza nei confronti delle imprese di spettacolo alle quali non sono state estese le agevolazioni comunitarie previste per le piccole e medie imprese. Ma questo Governo, oltre a sfiancare e umiliare tutto il grande popolo della cultura, cerca anche di neutralizzare il ruolo degli enti locali che in questi anni sono stati il vero motore delle politiche culturali. Con la legge 122/2010, la manovra economica estiva, il Governo ha arrecato un danno incalcolabile all’offerta di servizi degli enti locali e alle loro autonome forme di gestione. Ridotte dell’80% le spese per mostre ed eventi culturali, dimezzata l’attività di formazione, proibito ai comuni al di sotto dei 30.000 abitanti di dotarsi di strumenti di gestione dei servizi culturali come società e consorzi. C’è un’Italia che risponde a questa politica di impoverimento della società e di ciò che intendiamo per bene comune, come la Costituzione, la scuola pubblica, la ricerca, il paesaggio. Questa Italia si è soprattutto ritrovata nelle piazze, prende la parola a inizio rappresentazione, abbraccia i monumenti, si arrampica sui tetti. Questa Italia chiede politiche di investimento che sostegno non solo alla nostra cultura, ma anche alla nostra società e al nostro dire e fare democrazia.
Cecilia D’Elia